In occidente, la parola azione ha subito delle trasformazioni nel corso del tempo.
Il filosofo greco Aristotele contrappone l'azione alla passione, con il significato di patire, subire qualcosa. Nella metafisica classica l'azione presuppone l'essere: essere eventualmente agente, rispetto a qualcosa, essa è il predicato di una sostanza. Nella terminologia scolastica, l'azione viene definita atto secondo in relazione all'atto primo che è la condizione realizzata di un essere che in origine la possedeva solo in potenza. Nei primi anni dell'Ottocento, in clima romantico, Goethe capovolge la concezione del passaggio potenza-atto e nel Faust proclama: << In principio era l'azione>>. Questa stessa convinzione viene tradotta filosoficamente da Fichte, fondatore della filosofia idealistica, che, nella "Dottrina della scienza", vede l'atto come il primo principio alla base di quella concezione dell'Io assoluto, che non è una sostanza o un ente, ma pura attività, come posizione in primo luogo di se stesso, e poi dal contrario di sé, il non-Io, su cui l'Io possa agire contro di questo continuando così a riaffermarsi. L'azione propriamente umana è distinta da Aristotele in due grandi tipi:
Il filosofo greco Aristotele contrappone l'azione alla passione, con il significato di patire, subire qualcosa. Nella metafisica classica l'azione presuppone l'essere: essere eventualmente agente, rispetto a qualcosa, essa è il predicato di una sostanza. Nella terminologia scolastica, l'azione viene definita atto secondo in relazione all'atto primo che è la condizione realizzata di un essere che in origine la possedeva solo in potenza. Nei primi anni dell'Ottocento, in clima romantico, Goethe capovolge la concezione del passaggio potenza-atto e nel Faust proclama: << In principio era l'azione>>. Questa stessa convinzione viene tradotta filosoficamente da Fichte, fondatore della filosofia idealistica, che, nella "Dottrina della scienza", vede l'atto come il primo principio alla base di quella concezione dell'Io assoluto, che non è una sostanza o un ente, ma pura attività, come posizione in primo luogo di se stesso, e poi dal contrario di sé, il non-Io, su cui l'Io possa agire contro di questo continuando così a riaffermarsi. L'azione propriamente umana è distinta da Aristotele in due grandi tipi:
- la poíesis (greco ποίησις) ovvero l'agire diretto alla produzione di un oggetto che rimane autonomo e estraneo rispetto a chi l'ha prodotto
- la práxis (greco πρᾶξις), cioè il comportamento pratico, che non si risolve nella produzione di oggetti.
Nella tradizione scolastica, San Tommaso distingue azione elicita, cioè prodotta immediatamente dalla volontà, che è quindi l'atto stesso del volere, e l'azione contandata dalla volontà, ossia l'attività fisica che realizza quanto voluto.
Nel pensiero moderno, le concezioni di Hobbes e Locke vedono l'azione umana come un comportamento fisico che ha per causa un atto di volontà.
Anche Kant condivide questa concezione: la volontà umana è libera dalla casualità naturale, ma è, a sua volta, un particolare tipo di principio casuale, anche se incondizionato.
Nel pensiero moderno, le concezioni di Hobbes e Locke vedono l'azione umana come un comportamento fisico che ha per causa un atto di volontà.
Anche Kant condivide questa concezione: la volontà umana è libera dalla casualità naturale, ma è, a sua volta, un particolare tipo di principio casuale, anche se incondizionato.
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